Guest guest Posted August 28, 2005 Report Share Posted August 28, 2005 PAMHO AGTSP TRE ARTICOLI SU DI NOI DA LA STAMPA 22 23 8 2005 Il primo bello, il secondo mediocre il terzo grottesco Volete dire la vostra opinione? Ecco l'indirizzo e-mail de La Stampa: lettere (AT) lastampa (DOT) it vostro servitore Sajjanasraya dasa 1) Gli Hare Krishna sono i rappresentanti di una spiritualità devozionale, la cui pratica consiste nell'essere sempre consapevoli della presenza di Dio attraverso il canto dei suoi nomi. Il movimento è stato portato in Occidente da Swarni Bhaktivedanta nel '66 e fa risalire l'origine di ogni male all'aver dimenticato la nostra natura spirituale. I seguaci vivono in comunità di tipo monastico e seguono regole ascetiche, ma il loro abbandono a Dio non è privo di senso critico. Esprimono il bisogno di un ritorno alla vita semplice, in contatto con la natura. Una parte della giornata è dedicata alla meditazione su Dio, in cui si cerca il miglioramento. Ne consegue il rifiuto dei legami terreni e la possibilità di contatto con il divino, che viene spontaneamente, come una grazia. 2) USA IL GRUPPO SI SCUSA PER LE VIOLENZE SUI BAMBINI E PROMETTE RISARCIMENTI RECORD Hare Krishna sotto accusa: pedofilia NEW YORK La setta religiosa degli Hare Krishna ammette gli abusi sessuali avvenuti contro i bambini nelle sue scuole e si prepara a pagare i danni. L'ha detto il portave del gruppo alla televisione americana Cnn, nel corso di un'inchiesta su queste violenze.Lo scandalo era cominciato nel giugno del 2000, quando 44 adulti avevano presentato una causa a Dallas, nel Texas, chiedendo 400 milioni di dollari di risarcimento all'"International Society of Krishna Consciousness" e al fondatore del movimento induista, Bhaktivedanta Swami Prabhupada. Da bambini i querelanti erano stati mandati nelle scuole degli Hare Krishna, dove dovevano diventare devoti seguaci del movimento, mentre i genitori lavoravano per diffonderlo tra la gente. Prabhupada voleva che entrassero nei collegi quando avevano cinque anni, ma in alcuni casi l'iscrizione era avvenuta anche prima. In questo modo i padri e le madri erano liberi di dedicarsi completamente alle attività promozionali della setta, lasciando ad altri l'educazione dei figli. Ma gli 11 collegi aperti nell'America settentrionale durante gli Anni '70 si erano trasformati in centri di tortura, dove i piccoli allievi subivano violenze sessuali, fisiche e psicologiche. Windle Turley, avvocato delle vittime, aveva descritto così le loro sofferenze: "Hanno subito gli abusi e i maltrattamenti più impensabili che un bambino abbia mai visto. Le sevizie includevano lo stupro, l'abuso sessuale, la tortura fisica e il terrore emotivo, per piccoli che avevano fino a tre anni d'età. Da allora, diversi di loro si sono tolti la vita". Nel 2000, quando erano state presentate le prime cause, gli Hare Krishna avevano stanziato 250 mila dollari per indagare sulle accuse e compensare le vittime, ma nel frattempo il numero delle denunce è salito in tutti gli Stati Uniti e altrove. Nel suo documentario la Cnn ha riportato le testimonianze di persone che sostengono di essere state letteralmente vendute alla setta, alcune in cambio di una mucca o di altri piccoli beni di baratto. I genitori, che spesso venivano dalle esperienze alternative fatte nel movimento degli hippy durante gli Anni '60, erano completamente persi nella dottrina della setta induista e lasciavano fare. Ora i capi degli Hare Krishna avrebbero deciso di ammettere le loro responsabilità e risarcire tutti i danni fatti. A questo scopo avrebbero compiuto i primi passi legali per sbloccare i beni e i fondi di cui hanno bisogno per i pagamenti, ma le vittime aspettano risposte concrete prima di accettare un accordo con la setta. 3) TESTIMONIANZA VIOLENZE E TORTURE, VITTIMA DEGLI «ARANCIONI» «Ecco il mio incubo Sei anni da schiava tra gli Hare Krishna» Una trentenne: mi ha salvata un prete cattolico Sono scappata, ma devo ancora nascondermi ROMA «Le torture nella comunità assumevano mille volti: potevano essere violenza fisica, punizioni umilianti per chi si ribellava oppure la condanna a settimane di digiuno forzato e lavori massacranti». Ha ancora lo sguardo carico di paura Barbara, trentenne palermitana, prigioniera per sei anni del movimento degli «Arancioni»: «Non potevo chiedere aiuto a nessuno, mi proibivano ogni contatto con la mia famiglia, se protestavo erano botte, giorni di reclusione in minuscole stanze, disprezzo e riprovazione da parte del gruppo, isolamento, turni disumani nei campi». Insomma, un lager che porta alla distruzione fisica e psicologica: «Ero come morta». Il monito del Papa contro le sette religiose (in contemporanea con lo scandalo negli Usa per le ammissioni degli Hare Krishna in centinaia di casi giudiziari di torture sessuali, fisiche e psicologiche sui loro adepti) è sale sulle ferite per questa bella ragazza dagli occhi verdi e dai capelli corvini. A strapparla dallo stato di schiavitù in cui l'avevano precipitata violenze e abusi di ogni tipo è stato un sacerdote cattolico, che ora l'aiuta a sfuggire alle fortissime pressioni psicologiche degli Hare Krishna. Una vita «sotto copertura», in perenne fuga, quella di Barbara, costretta a continui spostamenti per nascondersi dall'organizzazione che le ha distrutto la vita. A Palermo, a casa della madre, trova il coraggio di raccontare il suo calvario. «L'abisso della mia disperazione l'ho toccato quando ho capito che ero diventata una schiava in mano ai capi della setta - spiega Barbara -. Non ero più libera di pensare, non ero più in grado di fare niente da sola. Una sofferenza indicibile, un degradante supplizio». Una volta, per un «atto di insubordinazione», fu punita con il «lavaggio del cervello» e rischiò di morire soffocata nella capanna in cui era stata rinchiusa, tra fumi stordenti e il suono giorno e notte dei tamburi. Non poteva avere denaro né allontanarsi dalla comune. Ai genitori fu detto che era scappata all'estero. La sua «via crucis» inizia 11 anni fa a Firenze. «Mi trovavo per caso a piazza della Signoria, ero lì con delle amiche, da semplice turista - precisa - e ho incontrato gli Hare Krishna. Mi sono messa a parlare con ragazzi poco più grandi di me e sono rimasta affascinata dal loro modo “alternativo” di affrontare vita. In un baleno ho deciso di andarli a trovare e alla fine sono rimasta intrappolata in quel casolare sperso nella campagna fiorentina». «Tutti nella comunità erano vegetariani, non fumavano, non bevevano alcolici, dicevano di volersi bene - racconta Barbara -. All'inizio fui conquistata dall'armonia del gruppo e dall'apparente spirito di solidarietà». E dalla speranza di felicità eterna. «Ciò che mi affascinò maggiormente degli Hare Krishna era la promessa della reincarnazione: mi dicevano che chi fallisce in questa vita ha possibilità di rifarsi in un'altra esistenza - sottolinea Barbara -. Siccome io in quel momento mi sentivo una persona fallita, anche se avevo solo 17 anni, decisi di entrare a far parte della loro comunità». Alla studentessa siciliana si spalancano così le porte di un mondo «dove tutti si amavano, dove non c'erano livelli sociali, dove tutti eravamo un'unica cosa». Poi, la realtà si manifesta in tutto il suo orrore e si traduce in un tragico «buco» di sei anni nella vita di una ragazza strappata alla sua famiglia, che per anni la cerca invano. Un tunnel percorso come sott'ipnosi tra giornate da forzata, scandite dagli ordini dei capi. «La nostra routine era del tutto diversa dalla vita normale - evidenzia Barbara -. Ci si alza molto presto, alle 3 di mattina. Dalle 3 alle 6 si canta nei templi, si fanno le ore di studio, si lavora come schiavi nei campi, perché gli Hare Krishna stanno nelle campagne». I loro centri, infatti, sono spesso lontani da occhi indiscreti. La setta ha potere assoluto sugli adepti e uscirne è punito come il supremo tradimento». La libertà arriva sulla bicicletta di un parroco di campagna. «Un giorno ho dovuto sostituire una ragazza per fare l'Arinam (il canto per strada) e ho incontrato un sacerdote - prosegue Barbara -. Mi chiese chi eravamo noi Hare Krishna e io ripetei come un automa ciò che mi era stato indottrinato. Spiegai che la nostra più che una religione era una filosofia. Il prete mi ascoltò con attenzione, poi mi chiese cosa pensavo della religione cattolica. Fu uno shock e risposi che era la più giusta, la più libera e la più vera delle religioni. Il sacerdote mi guardò e mi disse: “Ma che ci stai a fare dagli Hare Krishna? In fondo non ci credi”. Quello è stato il momento in cui ho capito». L'uscita dalla setta, però, è stato tutt’altro che facile, con un’interminabile sequela di variazioni di residenza, false identità e numeri di telefono cambiati. «Uscire dagli Hare Krishna è un'impresa quasi disperata - racconta Barbara -. Molti ragazzi che ho conosciuto in comunità hanno provato a rifarsi una vita, ma sono ridiventati schiavi della setta». Nelle comunità degli «Arancioni», infatti, tra vittime e carnefici, si crea un vincolo impossibile da spezzare senza un aiuto esterno. «Dopo tanti anni in cui sei stato ridotto a un robot e tenuto fuori dal mondo reale, sei una larva, dipendi in tutto dal gruppo - puntualizza Barbara -. Malgrado violenze e torture, ti senti sicuro solo all'interno dell'organizzazione, perché ti convincono che fuori non c'è futuro». Tornata tra le braccia della madre, Barbara era sconvolta. «Mi era crollato ogni riferimento - afferma -. Mi sconcertava la libertà, sentivo un vuoto atroce. Non sapevo vivere senza qualcuno che mi dicesse cosa fare e pensare, senza un capo che decidesse ogni ora della mia giornata». Ancora oggi a farla gridare nel sonno sono ricordi orribili. «Per sei anni sono stata totalmente in balia della setta, non potevo mai dire di no. Erano gli Hare Krishna a giudicare il bene e il male, ciò che dovevo fare e ciò che mi era proibito», rievoca Barbara. Il legame di dipendenza è lo stesso dei tossici. Non sapeva più chi era e sentiva l'istinto di ributtarsi tra le braccia dei suoi aguzzini. «Ti inseguono più che per riconquistare un adepto per impedire che una voce infranga la cappa di terrore - conclude -. Se resisti puoi tornare un essere umano, se ti fai trascinare di nuovo nel pozzo, sei perduto». Volete dire la vostra opinione? Ecco l'indirizzo e-mail de La Stampa lettere (AT) lastampa (DOT) it Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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