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BELLO MEDIOCRE GROTTESCO

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PAMHO AGTSP

 

TRE ARTICOLI SU DI NOI DA LA STAMPA 22 23 8 2005

 

Il primo bello, il secondo mediocre il terzo grottesco

 

 

Volete dire la vostra opinione? Ecco l'indirizzo e-mail de La Stampa:

lettere (AT) lastampa (DOT) it

 

vostro servitore Sajjanasraya dasa

 

 

 

 

1)

 

Gli Hare Krishna sono i rappresentanti di una spiritualità devozionale, la

cui pratica consiste nell'essere sempre consapevoli della presenza di Dio

attraverso il canto dei suoi nomi. Il movimento è stato portato in Occidente

da Swarni Bhaktivedanta nel '66 e fa risalire l'origine di ogni male

all'aver dimenticato la nostra natura spirituale. I seguaci vivono in

comunità di tipo monastico e seguono regole ascetiche, ma il loro abbandono

a Dio non è privo di senso critico. Esprimono il bisogno di un ritorno alla

vita semplice, in contatto con la natura. Una parte della giornata è

dedicata alla meditazione su Dio, in cui si cerca il miglioramento. Ne

consegue il rifiuto dei legami terreni e la possibilità di contatto con il

divino, che viene spontaneamente, come una grazia.

 

 

 

 

2)

USA IL GRUPPO SI SCUSA PER LE VIOLENZE SUI BAMBINI E PROMETTE

RISARCIMENTI RECORD

 

Hare Krishna sotto accusa: pedofilia NEW YORK La setta religiosa degli Hare

Krishna ammette gli abusi sessuali avvenuti contro i bambini nelle sue

scuole e si prepara a pagare i danni. L'ha detto il portave del gruppo alla

televisione americana Cnn, nel corso di un'inchiesta su queste violenze.Lo

scandalo era cominciato nel giugno del 2000, quando 44 adulti avevano

presentato una causa a Dallas, nel Texas, chiedendo 400 milioni di dollari

di risarcimento all'"International Society of Krishna Consciousness" e al

fondatore del movimento induista, Bhaktivedanta Swami Prabhupada. Da bambini

i querelanti erano stati mandati nelle scuole degli Hare Krishna, dove

dovevano diventare devoti seguaci del movimento, mentre i genitori

lavoravano per diffonderlo tra la gente. Prabhupada voleva che entrassero

nei collegi quando avevano cinque anni, ma in alcuni casi l'iscrizione era

avvenuta anche prima. In questo modo i padri e le madri erano liberi di

dedicarsi completamente alle attività promozionali della setta, lasciando ad

altri l'educazione dei figli. Ma gli 11 collegi aperti nell'America

settentrionale durante gli Anni '70 si erano trasformati in centri di

tortura, dove i piccoli allievi subivano violenze sessuali, fisiche e

psicologiche. Windle Turley, avvocato delle vittime, aveva descritto così le

loro sofferenze: "Hanno subito gli abusi e i maltrattamenti più impensabili

che un bambino abbia mai visto. Le sevizie includevano lo stupro, l'abuso

sessuale, la tortura fisica e il terrore emotivo, per piccoli che avevano

fino a tre anni d'età. Da allora, diversi di loro si sono tolti la vita".

Nel 2000, quando erano state presentate le prime cause, gli Hare Krishna

avevano stanziato 250 mila dollari per indagare sulle accuse e compensare le

vittime, ma nel frattempo il numero delle denunce è salito in tutti gli

Stati Uniti e altrove. Nel suo documentario la Cnn ha riportato le

testimonianze di persone che sostengono di essere state letteralmente

vendute alla setta, alcune in cambio di una mucca o di altri piccoli beni di

baratto. I genitori, che spesso venivano dalle esperienze alternative fatte

nel movimento degli hippy durante gli Anni '60, erano completamente persi

nella dottrina della setta induista e lasciavano fare. Ora i capi degli Hare

Krishna avrebbero deciso di ammettere le loro responsabilità e risarcire

tutti i danni fatti. A questo scopo avrebbero compiuto i primi passi legali

per sbloccare i beni e i fondi di cui hanno bisogno per i pagamenti, ma le

vittime aspettano risposte concrete prima di accettare un accordo con la

setta.

 

 

 

 

3)

 

TESTIMONIANZA VIOLENZE E TORTURE, VITTIMA DEGLI «ARANCIONI»

«Ecco il mio incubo Sei anni da schiava tra gli Hare Krishna»

Una trentenne: mi ha salvata un prete cattolico Sono scappata, ma devo

ancora nascondermi

 

ROMA

 

«Le torture nella comunità assumevano mille volti: potevano essere violenza

fisica, punizioni umilianti per chi si ribellava oppure la condanna a

settimane di digiuno forzato e lavori massacranti». Ha ancora lo sguardo

carico di paura Barbara, trentenne palermitana, prigioniera per sei anni del

movimento degli «Arancioni»: «Non potevo chiedere aiuto a nessuno, mi

proibivano ogni contatto con la mia famiglia, se protestavo erano botte,

giorni di reclusione in minuscole stanze, disprezzo e riprovazione da parte

del gruppo, isolamento, turni disumani nei campi». Insomma, un lager che

porta alla distruzione fisica e psicologica: «Ero come morta». Il monito del

Papa contro le sette religiose (in contemporanea con lo scandalo negli Usa

per le ammissioni degli Hare Krishna in centinaia di casi giudiziari di

torture sessuali, fisiche e psicologiche sui loro adepti) è sale sulle

ferite per questa bella ragazza dagli occhi verdi e dai capelli corvini. A

strapparla dallo stato di schiavitù in cui l'avevano precipitata violenze e

abusi di ogni tipo è stato un sacerdote cattolico, che ora l'aiuta a

sfuggire alle fortissime pressioni psicologiche degli Hare Krishna. Una vita

«sotto copertura», in perenne fuga, quella di Barbara, costretta a continui

spostamenti per nascondersi dall'organizzazione che le ha distrutto la vita.

A Palermo, a casa della madre, trova il coraggio di raccontare il suo

calvario. «L'abisso della mia disperazione l'ho toccato quando ho capito che

ero diventata una schiava in mano ai capi della setta - spiega Barbara -.

Non ero più libera di pensare, non ero più in grado di fare niente da sola.

Una sofferenza indicibile, un degradante supplizio». Una volta, per un «atto

di insubordinazione», fu punita con il «lavaggio del cervello» e rischiò di

morire soffocata nella capanna in cui era stata rinchiusa, tra fumi

stordenti e il suono giorno e notte dei tamburi. Non poteva avere denaro né

allontanarsi dalla comune. Ai genitori fu detto che era scappata all'estero.

La sua «via crucis» inizia 11 anni fa a Firenze. «Mi trovavo per caso a

piazza della Signoria, ero lì con delle amiche, da semplice turista -

precisa - e ho incontrato gli Hare Krishna. Mi sono messa a parlare con

ragazzi poco più grandi di me e sono rimasta affascinata dal loro modo

“alternativo” di affrontare vita. In un baleno ho deciso di andarli a

trovare e alla fine sono rimasta intrappolata in quel casolare sperso nella

campagna fiorentina». «Tutti nella comunità erano vegetariani, non fumavano,

non bevevano alcolici, dicevano di volersi bene - racconta Barbara -.

All'inizio fui conquistata dall'armonia del gruppo e dall'apparente spirito

di solidarietà». E dalla speranza di felicità eterna. «Ciò che mi affascinò

maggiormente degli Hare Krishna era la promessa della reincarnazione: mi

dicevano che chi fallisce in questa vita ha possibilità di rifarsi in

un'altra esistenza - sottolinea Barbara -. Siccome io in quel momento mi

sentivo una persona fallita, anche se avevo solo 17 anni, decisi di entrare

a far parte della loro comunità». Alla studentessa siciliana si spalancano

così le porte di un mondo «dove tutti si amavano, dove non c'erano livelli

sociali, dove tutti eravamo un'unica cosa». Poi, la realtà si manifesta in

tutto il suo orrore e si traduce in un tragico «buco» di sei anni nella vita

di una ragazza strappata alla sua famiglia, che per anni la cerca invano. Un

tunnel percorso come sott'ipnosi tra giornate da forzata, scandite dagli

ordini dei capi. «La nostra routine era del tutto diversa dalla vita normale

- evidenzia Barbara -. Ci si alza molto presto, alle 3 di mattina. Dalle 3

alle 6 si canta nei templi, si fanno le ore di studio, si lavora come

schiavi nei campi, perché gli Hare Krishna stanno nelle campagne». I loro

centri, infatti, sono spesso lontani da occhi indiscreti. La setta ha potere

assoluto sugli adepti e uscirne è punito come il supremo tradimento». La

libertà arriva sulla bicicletta di un parroco di campagna. «Un giorno ho

dovuto sostituire una ragazza per fare l'Arinam (il canto per strada) e ho

incontrato un sacerdote - prosegue Barbara -. Mi chiese chi eravamo noi Hare

Krishna e io ripetei come un automa ciò che mi era stato indottrinato.

Spiegai che la nostra più che una religione era una filosofia. Il prete mi

ascoltò con attenzione, poi mi chiese cosa pensavo della religione

cattolica. Fu uno shock e risposi che era la più giusta, la più libera e la

più vera delle religioni. Il sacerdote mi guardò e mi disse: “Ma che ci stai

a fare dagli Hare Krishna? In fondo non ci credi”. Quello è stato il momento

in cui ho capito». L'uscita dalla setta, però, è stato tutt’altro che

facile, con un’interminabile sequela di variazioni di residenza, false

identità e numeri di telefono cambiati. «Uscire dagli Hare Krishna è

un'impresa quasi disperata - racconta Barbara -. Molti ragazzi che ho

conosciuto in comunità hanno provato a rifarsi una vita, ma sono ridiventati

schiavi della setta». Nelle comunità degli «Arancioni», infatti, tra vittime

e carnefici, si crea un vincolo impossibile da spezzare senza un aiuto

esterno. «Dopo tanti anni in cui sei stato ridotto a un robot e tenuto fuori

dal mondo reale, sei una larva, dipendi in tutto dal gruppo - puntualizza

Barbara -. Malgrado violenze e torture, ti senti sicuro solo all'interno

dell'organizzazione, perché ti convincono che fuori non c'è futuro». Tornata

tra le braccia della madre, Barbara era sconvolta. «Mi era crollato ogni

riferimento - afferma -. Mi sconcertava la libertà, sentivo un vuoto atroce.

Non sapevo vivere senza qualcuno che mi dicesse cosa fare e pensare, senza

un capo che decidesse ogni ora della mia giornata». Ancora oggi a farla

gridare nel sonno sono ricordi orribili. «Per sei anni sono stata totalmente

in balia della setta, non potevo mai dire di no. Erano gli Hare Krishna a

giudicare il bene e il male, ciò che dovevo fare e ciò che mi era proibito»,

rievoca Barbara. Il legame di dipendenza è lo stesso dei tossici. Non sapeva

più chi era e sentiva l'istinto di ributtarsi tra le braccia dei suoi

aguzzini. «Ti inseguono più che per riconquistare un adepto per impedire che

una voce infranga la cappa di terrore - conclude -. Se resisti puoi tornare

un essere umano, se ti fai trascinare di nuovo nel pozzo, sei perduto».

 

 

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